Come appare chiaro dal grafico, ci stiamo riferendo alla debolezza del biglietto verde e a quanto costa, a chi investe in asset denominati in dollari, la svalutazione contro euro.
Nel dettaglio, il rapporto il 2 gennaio ha segnato un fixing a 1.025 punti e ora quota intorno a 1.16 punti. Una svalutazione intono al 13% contro euro. Una differenza, per il valutario, molto importante che è stata supportata dalle decisione della banca centrale che ha tagliato i tassi 8 volte nelle ultime riunioni. Appare evidente che mantenere asset in dollari è costato una rivalutazione pesante che per le azioni può essere stato mitigato dai dividendi (le azioni Usa staccano dividendo ogni 3 mesi) e dalla rivalutazione mentre per i bond, le cedole hanno coperto solo in parte la perdita realizzata in conto capitale. Il vero problema è legato agli investimenti in Bitcoin e metalli preziosi che hanno subito un netto depauperamento in quanto non hanno alcun ritorno in conto capitale. Paradossalmente, su questi due asset anche l’investitore europeo riesce a mantenere un saldo positivo in quanto l’oro quotava 2650 dollari l’oncia (contro i 3320 dollari attuali) mentre per il Bitcoin la situazione è meno rosea in quanto quotava, a inizio anno, circa 92000 dollari.
Al momento, l’investimento in oro è ancora profittevole in quanto il saldo è positivo per il 25% (a cui bisogna detrarre il 13% di svalutazione) mentre per il Bitcoin il saldo è sostanzialmente in pareggio.
Una tassa nascosta che pesa sulla performance e che è destinata ad appesantirsi se il rapporto dovesse salire oltre il livello di 1.16 punti. Le aziende che esportano devono tener conto anche di questo dato che, al contrario, va a favore del Governo in quanto l’acquisto di natural gas e carburante avviene a costi inferiori
Per rimediare a questa condizione non c’è molto da fare se non andare in copertura del rischio cambio che è molto oneroso per un piccolo privato (tanto da non essere conveniente).